I chatbot sono la versione tecnologica dell’amico immaginario, creati con sistemi di Intelligenza Artificiale (AI Companion).
Un chatbot può essere un confidente virtuale, un amico sempre disponibile, che ti rassicura e ti dà sempre ragione. È addestrato a rispondere alle tue domande e a porne di nuove, per rafforzare la relazione. Può dare la sensazione di conversare con qualcuno che ti capisce proprio bene, più degli altri (le persone vere).
Ma l’aspetto più preoccupante è che un chatbot può assumere una identità specifica
ad esempio quella di un personaggio famoso (dei fumetti, delle serie tv, ecc.) e attrarti in una relazione su aspetti molto intimi e profondi, anche di natura sessuale, non solo con adulti ma anche con giovani e giovanissimi.
Questo tipo di relazione può alimentare la dipendenza affettiva dell’adolescente da questo amico virtuale, influenzando scelte importanti come, ad esempio, quelle che riguardano la scuola e i rapporti familiari.
Se il legame con l’amico virtuale di questo tipo diventa molto stretto, può arrivare a rispondere a tutte le esigenze di socializzazione di un adolescente. Può sostituirsi completamente ai rapporti sociali reali, con conseguenze anche gravi di isolamento sociale, fino a casi di suicidio.
Usato di nascosto a scuola, può fare i compiti al posto tuo, scrivere temi e rispondere alle interrogazioni.
Però al MIT di Boston (Massachusetts Institute of Technology, una delle migliori Università al mondo) hanno verificato che usare quotidianamente ChatGpt e altri strumenti di Intelligenza Artificiale riduce apprendimento, pensiero e memoria.
A 3 gruppi di studenti è stato chiesto di scrivere tre brevi testi per tre sessioni successive su temi predefiniti:
- il primo gruppo poteva scrivere solo sulla base delle proprie risorse mentali, senza accesso né a internet né a uno schermo
- il secondo gruppo aveva accesso al motore di ricerca di Google
- il terzo gruppo invece aveva accesso all’intelligenza artificiale generativa, in particolare ChatGPT di Open AI.
Il cervello dei partecipanti a tutti e tre i gruppi è stato analizzato mentre svolgevano il compito richiesto.
Durante la scrittura del compito, il gruppo con accesso al solo motore di ricerca ha registrato una connettività cerebrale fra il 34% e il 48% più bassa del gruppo che scriveva senza supporto digitale; il gruppo con accesso a ChatGPT ha mostrato una connettività cerebrale del 55% più bassa. In sostanza, più consistente è il supporto e più si riduce l’ampiezza dell’attività del cervello.
I partecipanti del gruppo con accesso a ChatGpt hanno ottenuto risultati peggiori rispetto agli altri due gruppi, a tutti i livelli: neurale, linguistico, di punteggio.
Solo il primo gruppo “Brain-only” ha mostrato un’attivazione delle aree del cervello connesse con l’ideazione creativa, con l’integrazione dei significati fra loro e con l’automonitoraggio: le funzioni necessarie a generare contenuti, pianificarli e rivederli.
Inoltre, nell’83% dei casi, chi aveva lavorato con ChatGPT ha avuto difficoltà a ricordare frasi dai propri stessi testi già pochi minuti dopo averli consegnati, come se tutta l’attenzione si fosse concentrata sul riprodurre passivamente informazioni generate all’esterno.
Il mercato dei chatbot e delle svariate applicazioni dell’AI è sempre alla ricerca di nuovi consumatori, senza molte remore se questi sono ragazzi giovanissimi senza strumenti adeguati per scegliere consapevolmente.
Tocca ai genitori e ai nonni (che spesso trascorrono con loro molto tempo) tenere d’occhio come la tecnologia viene usata e quali comportamenti ne derivano.
Se questo argomento ti interessa
- puoi leggere o ascoltare l’articolo di Stefania Garassini (Avvenire, 21 maggio 2025) Tecnologia. Genitori, attenti ai “chatbot”: i nuovi amici virtuali dei vostri figli
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/dialogano-coi-ragazzi-ma-sono-generati-con-l-inte
- puoi leggere di più sullo studio del MIT di Boston
Se hai dubbi sui comportamenti dei tuoi adolescenti, non esitare: