Anche oggi mi vestirò con una certa cura, preparerò la colazione, accudirò i bambini, uscirò e saluterò cordialmente il vicino di casa, come se nulla fosse, affronterò lavoro e colleghi, rassetterò la casa e farò la spesa. Poi aspetterò la sera.
Come tornerà da noi? A che ora? Gli succederà qualcosa? Coinvolgerà altri? Come riconoscere in quest’uomo distrutto colui che ho tanto amato?
Come abbracciare questo figlio impresentabile, la cui condizione lacera ogni fibra della mia anima e della mia carne?
Come accogliere questa donna trasfigurata che un tempo era la ragione di ogni mia gioia e della mia pace? Come frenare questa emorragia di denaro per far fronte agli impegni della vita, ai problemi di ogni giorno, soli, umiliati dagli sguardi degli altri – ironici o sprezzanti – quando va bene, compassionevoli?
Perché mi capita tutto questo? Dove ho sbagliato?
Nell’angoscia che impregna la mia giornata, sopravvivo come un prigioniero che si adatta alla sua cella, fa del suo meglio per non avere nostalgia del mondo di fuori e cerca disperatamente di dare un significato ai gesti che compie in quel quotidiano senza vie d’uscita.
Cosa darei per avere qualcuno che mi aiutasse ad orientarmi in questo dolore, in questa immane fatica di vivere … Cosa darei per ridare un senso ai miei giorni … ai nostri giorni. (A.)